di Tino Caspanello
Compagnia Pubblico Incanto – SMART
di e con Lucia Sardo – regia Marcello Cappelli
Compagnia Mandara Ke
Santi Cicardo
Leonardo Bruno
La prima stagione fu …in movimento, poi niente. O meglio due anni complicati, che hanno segnato le nostre vite, trasformato i modi dell’esistenza, la presa col mondo, con gli altri, perfino di noi stessi.
Attitudini, speranze e credenze non saranno quelli di una volta. Sono stati anni privati, intimi per certi versi, e allo stesso tempo solitari e isolanti. Anni di distanze e scarsi di empatia, trascorsi sulla tagliola della marginazione, della chiusura. Anni in cui alla sindrome del carcerato si è via via sovrapposta quella della capanna, della tana, di un’autarchia emozionale ostentata.
La casa è diventata il maniero del nostro tempo, delle nostre istanze, dei nostri desideri. Le chat (o i social) la finta piazza traboccante di convinzioni urlate, quasi che solo gridando ci si potesse auto-sentire, auto-persuadere, auto-definire.
Poteva il Teatro (ma il discorso può farsi di tutte le forme della cultura) non patire la ghigliottina delle relazioni?
Ha provato a muoversi, arretrando negli archivi, barcollando su spazi definiti da pareti divisorie, mascherandosi per un singolo spettatore o lo spettro di esso.
Ha tentato fughe in avanti verso un futuro determinato, eppure del tutto alieno, con strumenti e tecnologie da asporto, da click e getta.
Infine ha evocato il suo Mefistofele, lo schermo, in un rapporto di mediazione che ne ha annientato l’anima.
Ma che altro poteva fare tutta quella gente di “spettacolo”, se non insistere a rattoppare il senso strappato delle loro vite, a reinventare atto dopo atto, scena dopo scena, personaggio per personaggio il loro essere-al-mondo.
La R-Esistenza, come ultima prova da vivificare, era la scena madre!
Ma le tempeste non sono fatte per durare. E così anche questi fortunali hanno finito di sbalzare il battello ebbro del teatro, e abbiamo ripreso a respirare tutti e insieme la stessa aria, negli stessi spazi. In questo nuovo tempo non potevamo mancare. Bisognava riprendere a camminare, a essere e stare in movimento, ma tracciando una nuova geografia dei passi, degli spostamenti, con una meticolosa attenzione agli sguardi.
Bisognava riprendere possesso del fatto d’essere comunanza, del nostro co-sentire, bisognava che i piedi, prima di andare, sapessero delle “Radici”.
Perché abbiamo bisogno di verificare da chi e cosa è fatta questa comunità (la comunità madonita intendo), di pulire il cammino dalle sterpaglie, di sgombrare la via dai rifiuti delle attività piratesche e di saccheggio di un fantomatico sviluppo tutto-a-un-euro (ma veramente valgono così poco i nostri affetti?).
Siamo comunità perché questi luoghi li abitiamo, tutti i giorni, per tutto l’anno, ora dopo ora. Ne sappiamo la meraviglia e la tristezza. Soffriamo la noia, l’impotenza, la sensazione dell’abbandono, lo svuotamento che secca la vita e mortifica le spettanze.
Ma siamo ancora qui, forse per sempre qui!
Perciò crediamo che il Teatro, questo Teatro che quest’anno compie 160 anni (tanti auguri Grifeo), debba essere un luogo in cui incontrarci e riconoscerci.
Ci sono molti modi per interessarsi della comunità, la politica e l’economia a tutta prima sembrano i modi più adeguati (e di certo lo saranno), tuttavia a noi sembra che solo nei riti condivisi, solo nelle intese di superficie, negli sprofondamenti dell’Evento possa realizzarsi il “divertimento” d’Essere la Comunità che è (siamo).
Santi Cicardo
per Radici (primo movimento _la terra)
di e con Chiaraluce Fiorito, progetto drammaturgico Melania Manzoni
Compagnia Retablo
Una rete da pesca domina la scena e i movimenti dell’attrice. La rete è il simbolo dei legami del passato e del presente, dei nodi difficili da sciogliere e dai quali Maris tenta di staccarsi.La rete non si può districare, ma si può tagliare e questo è il gesto forte di una madre che – per salvarsi e per salvare – taglia il cordone ombelicale che la tiene stretta a sua figlia. La rete da pesca è un simbolo ma è anche un elemento forte della rappresentazione: non è mai due volte uguale durante la messa in scena. Questo crea dinamismo, imprevedibilità e ritmo ai momenti e alla scena»
con Antonella Caldarella e Maria Riela – Musiche originali di Andrea Cable – Scene di Emanuele Salamanca Testo e Regia Antonella Caldarella – Compagnia TEATRO ARGENTUM POTABILE
Liberamente ispirato dalla morte di Maria Grazia Cutuli, giornalista uccisa in Afganistan, nel 2001. Madri di Guerra’ racconta di un legame tra una madre e una figlia, un legame indissolubile prima della vita e dopo la morte. Racconta della forza delle donne che vivono con coraggio e dignità, di chi non si accontenta di vivere la mediocrità quotidiana, ma vuole lottare per cambiare il mondo e renderlo un posto migliore. Madri di guerra è uno spettacolo intimo, profondo, fatto di un Teatro necessario che sa distinguere tra il vero e il virtuale, un teatro che racconta qualcosa in cui credere e per cui vivere e nutrire speranza.
di e con Giuseppe Brancato – con l’amichevole partecipazione in voce di Nicole Grimaudo – disegno luci Fabio Maugeri – organizzazione generale Fabio Navarra – Compagnia Nave Argo
Sicilia fine anni 70. Il piccolo Salvatore Spanò, figlio di Lucia e Mariano, racconta la sua vita partendo dall’incontro dei suoi genitori. Suo padre lavora per un piccolo boss del paese e dagli atteggiamenti reverenziali che la gente ha nei suoi confronti il bambino si convince che il genitore sia un Santo in grado di far miracoli ed esaudire qualsiasi desiderio gli venga espresso. Persuasosi di essere quasi parente di Gesù, Salvatore vive le sue giornate aspirando alla stessa santità del padre, confidando nel suo potere divino e risolutore anche nelle situazioni più drammatiche. Un monologo intenso e commovente sul tema della violenza di genere in cui la storia viene narrata attraverso gli occhi innocenti di un bambino e rappresentata con più personaggi interpretati da Giuseppe Brancato
di Tino Caspanello – con Tino Caspanello e Cinzia Muscolino – costumi Cinzia Muscolino – scena e regia Tino Caspanello Compagnia Pubblico Incanto/SMART
Un uomo e una donna, il mare; una lingua, quella siciliana, che non permette di esprimere tutte le profondità di un sentire, una lingua fatta di necessità quotidiane, che possiede solo il presente, dilatato nel testo sulla linea che separa mare e terra, su questo limite mutevole che attrae l’uno e respinge l’altra. “Mari” è quasi una partitura musicale nella struttura e nel suono delle parole accompagnate dal lento ritmo di un calmo mare notturno. Quante volte in riva al mare abbiamo parlato di Dio e del mondo, o del nostro pane quotidiano. E accade che l’uomo e la donna si parlano, non lo fanno quasi mai, e si sorprendono del loro parlare e anche del loro cantare insieme a quelle materie che solo se le conosci bene ti aiutano ad amare, anche senza la necessità di dirlo. E’ proprio per scoprire di quale materia siamo fatti che l’uomo invita la compagna a toccare il mare, quell’acqua scura che fa orrore e affascina allo stesso tempo, quell’elemento che ha permesso loro di parlarsi. E quando la donna, arrivata là apparentemente per caso, comincia ad avvicinarsi all’uomo che ama e che se ne sta solo a pensare sulla spiaggia, ecco che i due sciolgono finalmente i nodi che nessuna lingua potrà mai sciogliere, in parole che nessun suono potrà mai restituirci.
di e con Lucia Sardo – immagini video Antonio Lizzio e Gregorio Mascolo – montaggio Antonio Pilade
regia Marcello Cappelli – Compagnia Mandara Ke
Lucia Sardo, interprete del film I CENTO PASSI nel ruolo di Felicia Impastato, intende con questo spettacolo rivolgere un omaggio a Felicia che con la sua lotta costante ha dato una nuova speranza alla Sicilia, una speranza di riscatto e cambiamento. Ma chi era Felicia Impastato?
Quelli che hanno visto il bellissimo film di Marco Tullio Giordana, I Cento passi, sanno che a questa donna, nel 1978, uccisero il figlio Peppino con una carica di tritolo. Felicia era la moglie di un mafioso e, se avesse seguito il codice della mafia, avrebbe dovuto tacere e imporre all’altro figlio il dovere di compiere la vendetta. Felicia, che, proprio attraverso Peppino, aveva intuito che altri erano i valori di cui farsi carico, ha interrotto la faida, non ha risposto con la vendetta, non ha ribattuto col delitto, ma ha preteso che fosse lo Stato a punire l’assassino di suo figlio. Non fu dunque facile per Felicia Impastato trasgredire il codice della mafia, eppure non ha esitato ad affrontarla apertamente, prima costituendosi parte civile contro ignoti e in seguito, attraverso dichiarazioni, interviste, aperte denunce a indicare in Tano Badalamenti l’assassino di suo figlio. Con la sua ostinazione, il suo coraggio era riuscita, anche se ben ventiquattro anni dopo la morte del figlio, a vederne conclusa l’inchiesta con la condanna all’ergastolo di Tano Badalamenti.
di Claudio Fava – con Ninni Bruschetta – al pianoforte Cettina Donato
allestimento e regia Laura Giacobbe – Produzione BAM TEATRO
Chi è Caino? È il male, la bestia feroce, la tenebra del destino? O solo uno di noi a cui è toccato in sorte il mestiere dell’assassino?
Claudio Fava in questo testo, se lo chiede laicamente, provando a dare corpo ai pensieri di un sicario mafioso. Senza giustificazioni, né pentimenti: perché non è la pedagogia sul male che ci serve, ma il racconto della sua banalità. La storia di un uomo chiamato dal destino a essere un mafioso. E per questa ragione premiato dagli altri con il soprannome di Caino.
Fedele a se stesso fino a quando intuisce che da qualche parte della città c’è Abele che lo aspetta perché il sacrificio si compia. Perché tutto è già scritto: Caino ucciderà ancora affinché il bene diventi martirio.
di Lina Prosa – con Elisa di Dio e Giorgio Cannata – Scene e Costumi Luca Manuli musiche Michele Di Leonardo – disegno luci Renzo Di Chio – tecnico luci Claudio Castagna – regia e coreografie Andrea Saitta – Compagnia dell’Arpa
Chi è Didone? Una regina, una ierofania della Madre mediterranea, una profuga, un’eroina cantata da poeti antichi e dell’oggi. È tutto questo Didone, o forse di più. Al di là dell’epos virgiliano, che fa di lei una donna combattuta fra la fedeltà alla memoria del marito morto e il nuovo prepotente, sentimento che la spinge verso Enea, con l’esito tragico a tutti noto, Didone è una straordinaria donna che intraprende il cammino fra mare e deserto, e guida il suo popolo sulle sponde di un mare nuovo.
È la fondatrice di una città, è la guida sicura di un popolo che fugge dalla follia della tirannide, è pellegrina e capa, prima che amante. Così ce la racconta la drammaturga Lina Prosa, così la restituisce sulla scena la Compagnia dell’Arpa, nell’interpretazione di Elisa Di Dio, nella vibrazione di corpo e gesto di Giorgio Cannata, per la regia di Andrea Saitta.
Cinema Teatro Grifeo collabora con:
direzione artistica Santi Cicardo
Associazione Culturale
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